Sindromi da overlap in epatite e colangite; nosologia e ...



INDICE

Introduzione…………………………………………………………………..2

Epatite Autoimmune…………………………………….…..…………………..2

Cirrosi Biliare Primitiva……………………………………….…………………7

Colangite Sclerosante Primitiva……………………………………………….20

Scopo dello studio………………………...………………………………23

Pazienti e Metodi………………………..…………………………………24

Selezione dei pazienti………………………………………………………….24

Immunofluorescenza Indiretta…………………..…….………………………25

Immunoblot………………………………………………...……………………26

Valutazione clinica dello score system dell’IAIHG……...……………………27

Risultati…………………………………………………………………………28

Immunofluorescenza Indiretta………………………….………………………28

Immunoblot……………………………………………….………………………29

Valutazione clinica dello score system dell’IAIHG……………………………29

Discussione………………………………………….…………………..……30

Tabelle…….………………………………………….…………………………36

Riassunto…………………………………………….………………….………38

Bibliografia………………………………………….…….……………………41

Introduzione

La dizione di “sindrome da overlap” (SO) esprime il concetto di sovrapposizione che, applicato alla patologia epatica autoimmune, sottende la contemporanea presenza di caratteri peculiari di differenti entità nosologiche in un singolo paziente. Lo spettro delle patologie a carattere autoimmunitario del fegato vede ad un estremo l’epatite autoimmune (EAI), classicamente suddivisa in tipi in funzione delle reattività autoanticorpali presenti, all'altro le patologie a carattere colangitico classicamente rappresentate dalla colangite cronica non suppurativa, meglio nota come Cirrosi Biliare Primitiva (CBP), e dalla Colangite Sclerosante Primitiva (CSP). Prima di affrontare l'aspetto propriamente riconducibile alla sovrapposizione della componente epatitica e di quella colangitica riteniamo opportuno affrontare un breve excursus su quelle che sono le tre entità nosologiche autoimmunitarie epatiche; e cioè l'EAI, la CBP e la CSP.

Epatite Autoimmune

L’epatite autoimmune (EAI) è “una malattia che non mostra tendenza alla risoluzione spontanea, ha un substrato istopatologico di epatite periportale, è di solito associata ad ipergammaglobulinemia policlonale e presenza di autoanticorpi sierici e risponde alla terapia immunosoppressiva nella maggior parte dei casi” [1]. L’EAI è una malattia relativamente rara (incidenza 0.1-1.2 x 105 casi/anno ed una prevalenza stimabile in circa 15 x 105 casi) [2] e ad eziologia sconosciuta, per cui non esiste un singolo criterio in sè sufficiente per porre una diagnosi, che risulta quindi una diagnosi di esclusione. Nel 1999 l’International Autoimmune Hepatitis Group-IAIHG ha ribadito i criteri diagnostici dell’EAI [3], già proposti qualche anno prima, e basati su un sistema di punteggio - positivo o negativo- che tiene in considerazione una serie di parametri clinici, biochimici, virologici ed immunologici, la presenza di fattori eziologici noti, il quadro istologico, l’assetto genetico e la risposta alla terapia immunosoppressiva. Il punteggio cumulativo permette di concludere per una diagnosi di EAI “definita” o “probabile”, ovvero di escludere la diagnosi di EAI (Tabella 1). La presentazione clinica della malattia risulta estremamente polimorfa, e può essere schematicamente suddivisa in 3 modalità: acuta, cronica ed asintomatica. L’esordio acuto, osservabile nel 20-30% dei casi, simula in tutto e per tutto il quadro dell’epatite acuta itterica, virale o da altre cause. La progressione insidiosa della malattia determina nel 30-40% dei casi una sintomatologia aspecifica contraddistinta da astenia, malessere generale e calo ponderale. Nel restante 30-40% dei casi non è presente alcuna sintomatologia e la diagnosi risulta del tutto incidentale. Spesso l'EAI è associata a manifestazioni extra-epatiche quali distiroidismo, artriti/artralgie, diabete mellito, malattie infiammatorie intestinali, sindrome di Sjögren, per cui spesso tali pazienti sono osservati inizialmente in ambiente endocrinologico o reumatologico [4]. L’EAI, in linea generale, è una malattia ad alta attività biochimica (elevati valori di transaminasi e di (-globuline) ed istologica, con quadri di epatite dell’interfaccia (“piecemeal necrosis”), necrosi “a ponte”, necrosi multilobulare. L’IAIHG ha considerato marcatori di rilevanza diagnostica i seguenti autoanticorpi, ricercati mediante immunofluorescenza indiretta alla diluizione del siero test di 1:40 (un cut-off di positività più basso è suggerito in caso di patologia pediatrica):

- autoanticorpi antinucleari (ANA)

- autoanticorpi anti muscolo liscio (SMA)

- autoanticorpi anti microsomi di fegato e rene (anti-LKM1).

In caso di negatività dei suddetti marcatori sono presi in considerazione altri autoanticorpi “definiti”, dei quali cioè siano disponibili informazioni pubblicate, relative alla metodologia di indagine e alla rilevanza nella diagnosi di EAI (anticorpi anti-ASialoGlycoProtein Receptor – anti-ASGP-R, anti-Soluble Liver Antigen/Liver Pancreas – anti-SLA/LP, anti-Liver Cytosol type 1 – anti-LC1, anti-Human Hepatocyte Plasma Membrane – anti-HHPM, anti-Sulfatide) [5].

In base alla presenza dei diversi autoanticorpi l’EAI è correntemente suddivisa in tre forme:

l’EAI di tipo 1, positiva per ANA e/o SMA,

l’EAI di tipo 2, positiva per anti-LKM1 e/o anti-LC1,

l’EAI di tipo 3, positiva per anti-SLA/LP.

Va comunque sottolineato che il quadro clinico, biochimico ed istopatologico delle tre forme è sostanzialmente simile. Fa eccezione l’età di insorgenza della malattia, significativamente più bassa nella maggior parte dei casi di EAI di tipo 2, che spesso esordisce in età pediatrica. Da segnalare infine la recente osservazione di anticorpi anti citoplasma perinucleare dei neutrofili (pANCA) in due terzi dei casi di EAI di tipo 1, ma non di EAI di tipo 2; la rilevanza dei pANCA nella diagnostica e nel monitoraggio rimane tuttora da chiarire [6]. Autoanticorpi pANCA sono osservabili con la stessa prevalenza nel 70-80% dei casi di CSP. Non esiste una cura per l’EAI, per cui l’obiettivo è quello di “spegnere” la flogosi epatica cercando di limitare al minimo gli effetti collaterali legati ai farmaci utilizzati. Il cardine della terapia farmacologica dell’epatite autoimmune è rappresentato dalla terapia immunosoppressiva, in particolare dalla terapia steroidea, da sola o in associazione con aziatioprina. La maggior parte dei pazienti trae beneficio dalla terapia steroidea, mediante una riduzione della citonecrosi epatocitaria e della flogosi epatica con remissione della malattia. Con il termine di remissione si intende la normalizzazione dei parametri biochimici (transaminasi, ipergammaglobulinemia) ed un miglioramento del quadro istologico. La terapia steroidea non è però completamente soddisfacente; infatti le recidive di malattia durante il “tapering” del cortisone e nel caso di sospensione completa, la frequente comparsa di effetti collaterali quali diabete, irsutismo, osteoporosi, ipertensione rendono comunque necessaria una continua ed attenta modulazione del dosaggio terapeutico dello steroide nel singolo paziente. Vengono considerate indicazioni assolute alla terapia immunosoppressiva valori di transaminasi uguali o superiori a 10 volte la norma, oppure superiori a 5 volte la norma ed associati ad un aumento di più del doppio delle (-globuline, il riscontro istobioptico di necrosi a ponte o multilobulare e la presenza di sintomi inabilitanti. Laddove le alterazioni cliniche, biochimiche ed istologiche siano invece di minore entità non vi è indicazione alla terapia. Se il quadro è già evoluto verso uno stadio di cirrosi con insufficienza epatica l’indicazione terapeutica è il trapianto d’organo. Il protocollo terapeutico prevede una prima “fase di attacco” con dosaggi medio-elevati (0,5-1 mg/Kg/die) di metilprednisolone (Urbason(, Medrol() allo scopo di contrastare la flogosi epatica, verosimile espressione biochimica ed istopatologica dell’attacco immuno-mediato verso l’epatocito. In seguito, quando è stato ottenuto un controllo soddisfacente della citonecrosi epatocitaria la terapia deve essere “di mantenimento” della remissione, per cui è opportuno ridurre molto lentamente il dosaggio steroideo, al fine di ridurre o comunque limitare gli effetti indesiderati di tale farmaco. Quando gli effetti collaterali siano importanti o non sia possibile ridurre lo steroide senza evitare che la flogosi epatica riprenda con vigore, può essere utile introdurre, in combinazione con il cortisone, l’azatioprina (Imuran() al dosaggio di 50 mg/die. L’introduzione dell’azatioprina si pone l'obiettivo di ridurre ulteriormente, in corso di mantenimento, il dosaggio dello steroide. Il trattamento combinato risulta invece mandatorio in tutti quei casi in cui coesistano patologie che verrebbero ulteriormente aggravate da terapie steroidee prolungate ad alti dosaggi (diabete, osteoporosi, ipertensione, obesità). Le principali controindicazioni all’utilizzo dell’azatioprina sono rappresentate da età giovanile, gravidanza e coesistenza di pancitopenia. In caso di riaccensione della flogosi epatocitaria è indicato il ricorso ad un nuovo ciclo di terapia “di attacco”. Alcuni pazienti non rispondono in maniera completa alla terapia, in quanto, nonostante un miglioramento dei parametri biochimici, non è raggiunto lo stato di completa remissione; in tali casi l’obiettivo deve essere quello di identificare, in maniera del tutto empirica, il più basso dosaggio di steroidi efficace. Altri farmaci ad azione immunosoppressiva (tacrolimus, ciclosporina, budesonide, mofetil micofenolato) sembrano produrre risultati promettenti, ma necessitano di ulteriori conferme sono necessarie prima di potere essere affiancati agli attuali farmaci d’elezione. Non sembra invece avere nessuna efficacia l’associazione degli acidi biliari alla terapia steroidea. In corso di EAI, oltre alla terapia specifica tesa al controllo della malattia, spesso si rivela utile il ricorso a terapie adiuvanti atte al controllo delle manifestazioni che la terapia di base può comportare; in quest’ottica trova ragione ed ha un suo razionale la somministrazione di calcio, vitamina D, difosfonati, e di terapia ormonale nella donna in post-menopausa. Il trapianto di fegato è riservato sostanzialmente a quei pazienti che presentano evoluzione in cirrosi scompensata con quadro di insufficienza epatica, e ai casi di epatite acuta a decorso fulminante che non rispondono alla terapia steroidea ad alti dosaggi. Da non trascurare comunque che il trapianto di fegato in pazienti con EAI comporta una maggior serie di problemi nel post-trapianto legati a rigetto d’organo acuto e cronico ed alla scarsa responsività alla terapia steroidea rispetto ai pazienti trapiantati per epatopatie ad eziologia differente. E’ stata segnalata la possibilità di recidiva della EAI a livello del fegato trapiantato, specie in relazione alla riduzione del trattamento immunosoppressivo.

Cirrosi Biliare Primitiva

La Cirrosi Biliare Primitiva (CBP) è una patologia epatica cronica ad impronta colestatica, di origine sconosciuta ed a carattere evolutivo che colpisce preferenzialmente donne di mezza età, la cui evoluzione può portare ad insufficienza epatica ed a necessità di trapianto d’organo [7]. L’incidenza e la prevalenza della CBP sono rispettivamente di 1.6 x 105 casi/anno e di 14.6 x 105 [2]. La diagnosi di CBP si basa su criteri clinici, biochimici, immunologici ed istologici; un singolo test, cioè la positività per l’anticorpo anti-mitocondrio (AMA) mediante immunofluorescenza indiretta, è però di per sè sufficiente per avanzare il sospetto diagnostico di CBP con un grado di probabilità estremamente elevato. La positività dell’AMA rappresenta il primo evento che compare nella storia naturale della CBP [8]; può infatti precedere anche di molti anni le alterazioni biochimiche tipiche della malattia (aumento della fosfatasi alcalina e della gammaglutamiltranspeptidasi ((-GT)(, le quali a loro volta precedono la comparsa della sintomatologia clinica (prurito, ittero, sintomi e segni di insufficienza epatica). La precocità della comparsa dell’AMA, unitamente alla sensibilità ed alla specificità di malattia che tale reattività esprime, rafforza l’ipotesi a favore di un suo possibile coinvolgimento anche in ambito patogenetico. La precocità della sua comparsa permette inoltre di effettuare una diagnosi precoce e conseguentemente di instaurare a tempo debito l’appropriata terapia. E’ degli ultimi anni l’acquisizione che il trattamento con acido ursodesossicolico sembra in grado di modificare la storia naturale della malattia rallentandone l’evoluzione senza indurre apprezzabili effetti collaterali [9, 10]. Sotto il profilo clinico e biochimico la colestasi rappresenta l’aspetto più caratteristico della CBP. Naturalmente, l’espressione della colestasi varia sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo nel corso della malattia. L’unico stadio nel quale, per definizione, non sono identificabili alterazioni correlate alla colestasi è quello preclinico, quando come detto in precedenza può però essere già identificabile l’AMA. I più sensibili marcatori biochimici di colestasi e quindi i più utili nella pratica clinica sono rappresentati dalla fosfatasi alcalina e dalla (-GT. E’ consueto osservare, in genere in una fase successiva a quella dell’elevazione della fosfatasi alcalina e della (-GT un aumento delle aminotransferasi, spesso con inversione del rapporto tra alanina- e aspartato-aminotransferasi. L’ultimo a modificarsi tra gli indici di laboratorio associati alla colestasi è la bilirubinemia. La sua correlazione inversa con l’integrità dei dotti biliari rendono particolarmente utile ai fini prognostici le modificazioni dei suoi valori, a differenza di quanto avviene per i livelli sierici degli enzimi e degli acidi biliari. La ragione per cui la bilirubinemia compare solo tardivamente rispetto ad altri indici è da ricercare nella notevole riserva funzionale dei meccanismi di trasporto epato-canalicolare della bilirubina coniugata che sono, a parità di richieste fisiologiche, circa 5-10 volte più efficienti di quelli degli acidi biliari. Sotto il profilo clinico il segno più tipico correlato alla colestasi è l’ittero che, comunque, è riconoscibile a livello sclerale solo a livelli di bilirubinemia superiori a 2 mg/dL e a livello cutaneo a livelli all’incirca doppi; è superfluo ricordare a questo punto come l’ittero rappresenti un segno “tardivo” ai fini diagnostici e possa essere invece utilizzato come marcatore prognostico di malattia. Altri segni cutanei correlati più o meno direttamente alla colestasi sono l’iperpigmentazione, con una sfumatura melanica localizzata prevalentemente al tronco, e gli xantomi; questi ultimi sono lesioni giallastre, soffici strettamente correlate all’ipercolesterolemia che contraddistingue i pazienti con CBP; ne esistono due varianti, una piatta (xantelasmi) variamente localizzata a livello del collo, dorso, mammelle e tronco e una variante tuberosa che è preferenzialmente localizzata a livello delle superfici estensorie degli arti e delle cicatrici. Sono lesioni reversibili, per cui quando si ha una riduzione della colestasi e quindi dei livelli di colesterolo, si può verificare una loro riduzione e scomparsa. Il sintoma principale della CBP, che talora rappresenta anche il sintoma iatrotropo, è rappresentato dal prurito; l’intensità di tale sintoma varia grandemente, è generalizzato e può essere invalidante le normali attività quotidiane; per quanto non sussista l’evidenza scientifica che il prurito correli con l’aumentata concentrazione sierica di una qualche sostanza normalmente escreta con la bile, la terapia standard del prurito in corso di CBP avviene con resine a scambio ionico a livello intestinale che legano e fanno precipitare gli acidi biliari [11]. Recentemente sono stati effettuati vari studi atti a verificare ed a confermare un’origine centrale del prurito; sono stati proposti modelli animali in cui vi era l’evidenza che il prurito e quindi l’attività di grattamento, oggettivamente registrata attraverso appositi sensori cutanei, associasse con un’attivazione del tono opioidergico e che la colestasi fosse in grado di determinare un attivazione del tono opioidergico [11]. A questo punto la terapia sarebbe volta all’utilizzo di molecole antagoniste i recettori per gli oppiacei (es. naloxone). Le alterazioni del metabolismo osseo, osteomalacia e osteoporosi soprattutto, sono state costantemente associate alla CBP; il ridotto assorbimento della vitamina D secondario alla colestasi, il ridotto assorbimento del calcio, le alterazioni ormonali estro-progestiniche del post-menopausa ed eventuali terapie steroidee sono le molteplici cause alla base di tali quadri; è altresì vero che un recente studio [12] abbia documentato come l’osteoporosi non rappresenti un carattere specifico di CBP; infatti la prevalenza della osteoporosi nei pazienti con CBP era analogo a quello di un gruppo di controllo matchato per sesso ed età. Il sospetto clinico-laboratoristico di CBP richiede in genere il supporto del dato istologico ottenuto mediante biopsia epatica. Le informazioni così ottenute risultano preziose sia sotto il profilo di una conferma diagnostica sia per la corretta stadiazione della malattia. A questo proposito è opportuno ricordare che la istopatologia della CBP è stata suddivisa da Scheuer in 4 stadi [13]. La lesione istopatologica che caratterizza la CBP è rappresentata da una "colangite segmentaria, cronica, progressiva, non suppurativa e distruttiva dei dotti biliari interlobulari del diametro di 40-80 (. La reale dimensione dei dotti interessati può peraltro risultare di difficile valutazione, in quando essi tendono ad allargarsi come effetto della lesione della membrana basale e della proliferazione epiteliale reattiva conseguente al danno. Nella fase iniziale della malattia (stadio I) i segmenti interessati mostrano rigonfiamento dei biliociti o condensazione eosinofila degli stessi e, a tratti, l’epitelio appare pluristratificato ed infiltrato da linfociti e plasmacellule. Sono presenti inoltre rotture focali delle strutture dei dotti. Aggregati di cellule epitelioidi o chiari granulomi si sviluppano in stretta vicinanza o intorno ai dotti interessati. I granulomi peri- o iuxtabiliari sono costituiti da linfociti, plasmacellule, istiociti, eosinofili e, non raramente, chiare cellule giganti multinucleate. Ludwig ha proposto una classificazione generale delle colangiti in forme granulomatosa, linfocitarie e pleiomorfe [14]. La colangite, che costituisce il substrato della lesione duttale della CBP e che si ritrova nel 50% dei campioni bioptici prelevati nelle fasi iniziali della malattia, è quella definita da Ludwig come granulomatosa. Nelle fasi più avanzate il riscontro della "lesione duttale florida" scende al 25% delle biopsie. Meno frequente è il riscontro, peraltro possibile anche in fase iniziale di malattia, di una colangite linfocitaria o pleiomorfa ad evoluzione verso la fibrosi. I dotti di dimensioni inferiori ai 40 ( possono apparire circondati da edema e fibrosi, verosimile espressione di un’ostruzione più distale. Ha inoltre una precisa utilità diagnostica la dimostrazione istologica di un accumulo di rame e della proteina legante il rame, la metallotioneina; tali alterazioni sono peraltro indicative di epatopatia cronica colestatica più che di CBP. Col progredire della malattia verso lo stadio II si assiste allo sconfinamento dell’infiltrato infiammatorio nel circostante parenchima periportale (da portale l’epatite diviene periportale); questo si associa a marcata proliferazione duttulare, ben visibile all’interfaccia porto-parenchimale. Gli epatociti periportali appaiono vacuolati e circondati da macrofagi d’aspetto "schiumoso" a questo quadro è stato dato il nome di "piecemeal necrosis biliare". Lo stadio III è contraddistinto dall’accentuazione della fibrosi, già iniziata nello stadio II, con comparsa di setti che uniscono spazi portali adiacenti. Nello stadio IV è presente cirrosi franca. La paucità di dotti biliari interlobulari può essere l’unico indizio della natura della cirrosi. Va rilevato che lo staging della CBP presenta problemi che possono limitarne alquanto l’utilità dell’operazione. Infatti lesioni caratteristiche di più di una stadio di malattia possono coesistere nella stessa biopsia; in questi casi è la lesione più avanzata a definire lo stadio. Il carattere di segmentarietà della lesione duttale fa sì che la stessa possa non essere inclusa nel campione in esame, specie se non vengono eseguite sezioni seriate. Sotto il profilo immunologico abbiamo precedentemente accennato all’AMA ed alla sua utilità diagnostica, che lo rende unitamente al dato istologico, uno dei due criteri maggiori per porre diagnosi di CBP. L’associazione AMA-CBP risale alla metà degli anni ’60 [15]. Attualmente la ricerca della reattività antimitocondriale viene comunemente effettuata nella pratica clinica mediante immunofluorescenza indiretta, western immunoblotting ed ELISA. Tutte e tre le metodiche presentano una elevata sensibilità e l’utilizzo dell’una o dell’altra dipende essenzialmente dall’esperienza degli operatori e dalle attrezzature di cui il laboratorio dispone. L’IFL utilizza come substrato sezioni criostatiche non fissate di rene e stomaco di roditore; l’utilizzo di tali substrati trova la sua giustificazione nell’abbondanza di mitocondri che questi tessuti propongono, in particolare modo le cellule dei tubuli renali e le cellule parietali gastriche. Non vi è dubbio che il riconoscimento del pattern immunomorfologico dell’AMA richiede la capacità di differenziarlo da quello di altri autoanticorpi, come l’anti-liver kidney microsome (LKM1), reattivi a livello degli stessi substrati tissutali [16]. Il maggior limite della ricerca dell’AMA in immunofluorescenza, intrinseco alla tecnica immunomorfologica, è tuttavia rappresentato dal fatto che il test può peccare di specificità, in quanto consente di valutare la presenza o l’assenza della reattività ma non l’identificazione dell’antigene o degli antigeni riconosciuti; sono noti infatti anticorpi diretti contro molecole mitocondriali diverse dai bersagli dell’AMA (ad esempio, gli anticorpi anticardiolipina, che riconoscono l’epitopo contenente il difosfatidilglicerolo). Più complessa, ma anche dotata di maggiore sensibilità e specificità, è la tecnica rappresentata dal western immunoblotting che utilizza preparazioni mitocondriali come sorgente di antigene. E’ rapidamente emerso che l’AMA reagisce con più peptidi mitocondriali di vario peso molecolare, compreso tra 74 e 41 kDa. Nel 1987 è stato sequenziato e clonato il cDNA che codifica per un peptide target di 74 kDa [17], riconosciuto come il principale autoantigene bersaglio dell’AMA ed identificato nel 1988 come la componente E2 del complesso della piruvato deidrogenasi (PDC-E2) [18, 19]. Allo stesso modo sono stati identificati i bersagli antigenici corrispondenti agli altri peptidi reattivi in immunoblotting. In generale, si tratta delle componenti E2 (ad attività diidrolipoamide acetiltransferasica, in grado di catalizzare il trasferimento riduttivo di un gruppo acetilico dai rispettivi substrati al coenzima A per l’ossidazione nel ciclo di Krebs) di una famiglia di enzimi funzionalmente correlati, chiamata complesso della 2-oxo-acido-deidrogenasi (2-OADC), comprendente il complesso della piruvato deidrogenasi (PDC-E2), il complesso della branched-chain 2-oxo-acido deidrogenasi (BCOADC-E2) [20] [21], ed il complesso della oxoglutarato deidrogenasi (OGDC-E2) [22, 23]. Inoltre viene riconosciuta dall’AMA la subunità E1a [24] e la proteina E3BP (la cui funzione sembra essere quella di legare la subunità E3) della piruvato deidrogenasi [25]. Mediante immunoblotting con preparato di mitocondri è possibile determinare la fine caratterizzazione delle specificità di ogni singolo siero; non sembra comunque esistere una correlazione clinico-immunologica fra data specificità e stadio clinico della malattia, e questo rende superfluo il monitoraggio della patologia mediante lo studio delle singole reattività. L’identificazione biochimica degli antigeni mitocondriali riconosciuti dall’AMA, la clonazione e l’espressione di proteine mitocondriali in forma ricombinante hanno facilitato la fine caratterizzazione della reattività antimitocondriale e la messa a punto di specifici reattivi diagnostici per il rilevamento dell’AMA mediante ELISA. L’ELISA è un test sensibile e specifico e consente di saggiare contemporaneamente più sieri a varie diluizioni. In considerazione della diversa prevalenza di reattività dei sieri AMA positivi nei riguardi delle varie proteine target e considerando che nessuna di esse è riconosciuta dal 100% dei sieri, è necessario che l’ELISA utilizzi uno spettro di antigeni che comprenda tutte le varie proteine target. Questo si è ottenuto attraverso la costruzione di "designer molecules", in cui più antigeni bersaglio sono espressi come una singola proteina ibrida. L’ELISA allestito con questo reattivo non sembra essere più sensibile e specifico dell’immunoblotting con le singole proteine antigeniche ricombinanti; tuttavia è un test di facile esecuzione che offre il grande vantaggio di consentire lo studio contemporaneo di un alto numero di campioni. L’AMA rappresenta sicuramente il marcatore sensibile e specifico di CBP, ma vi è una minoranza di casi (5-10%) in cui tale reattività non è riscontrabile a livello sierico, e ciò può ritardare od addirittura misconoscere la diagnosi di CBP; l’assenza di AMA nell’ambito della CBP è argomento largamente dibattuto, e al quale sono stati dedicati numerosi studi in questi ultimi anni [26-29]. Di recente e’ stato introdotto il termine di colangiopatia o colangite autoimmune (CA) [30-33]. Nell’accezione più ampia dovrebbe definire ogni malattia biliare con aspetti indicativi di autoimmunità. In un’accezione più ristretta è usato per descrivere una patologia colestatica le cui caratteristiche biochimiche, cliniche ed istologiche sono del tutto sovrapponibili a quelle della CBP: il quadro della colangio-pancreatografia retrograda endoscopica non rivela alterazioni dell’albero biliare, escludendo di fatto il sospetto di Colangite Sclerosante Primitiva; l’AMA, marcatore sensibile e specifico della CBP, è assente, mentre sono presenti autoanticorpi antinucleari e/o anti muscolo liscio. Studi condotti su ampie casistiche di pazienti con diagnosi clinica ed istologica di CBP non hanno dimostrato differenze significative sul piano biochimico, clinico e istologico tra pazienti AMA positivi e pazienti AMA negativi [26, 27, 34]. Sotto il profilo della collocazione nosologica i casi di colangite autoimmune sono inquadrabili in tutto e per tutto come CBP, negativi per AMA, ma con altre autoreattività anticorpali dimostrabili, lasciando la dizione di CBP AMA negativa ai casi senza autoreattività evidenziabili. La natura delle reattività nucleari descritti in corso di CA sono analoghe a quelle presenti in corso di CBP. Per chiarezza espositiva noi ci limiteremo a suddividere i casi in CBP AMA positivi e CBP AMA negativi. Fra i pattern immunomorfologici descritti in associazione con la CBP una rilevanza di primo piano la possiedono il Multiple Nuclear Dots (MND) e il Rim-like/Membranoso, mentre la presenza di altri pattern è spesso subordinata a patologie coesistenti con la CBP stessa, come per esempio l’anticorpo anti-Centromero diagnostico sia della variante CREST della sclerodermia senza CBP, sia dell’associazione CBP+CREST. Con il termine di anticorpi anti-MND si intende una reattività diretta contro antigeni nucleari, rilevabile mediante tecniche immunomorfologiche. Usando come substrato cellule HEp-2 il pattern di positività è assai caratteristico ed è costituito da una positività nucleare punteggiata: si osserva la presenza 3-20 punti di diverse dimensioni, variamente distribuiti all’interno del nucleo, ma non a livello dei nucleoli. Tipicamente negativi sono i nuclei delle cellule in mitosi. Tale reattività è stata descritta con prevalenze variabili nelle varie casistiche (13-42%) di CBP[35] [36]; la sua importanza deriva tuttavia dal fatto che è presente nel 60% di casi di CBP AMA negative. Per quanto caratteristico, il pattern di positività della reattività MND deve essere differenziato da quello di reattività similari, quali ad esempio quello dell’anticorpo anti-centromero (dots più numerosi, positività delle cellule in mitosi) [37]. Inoltre la eventuale presenza di altri anticorpi antinucleari con positività di tipo punteggiato (speckled) può rendere difficile il riconoscimento del pattern MND. Per tali motivi l’immunofluorescenza indiretta non può essere considerata la tecnica d’elezione nella ricerca della reattività anti-MND. Mediante western immunoblotting la reattività anti-MND tipica della CBP è diretta contro proteine nucleari del peso molecolare di 78-92-kDa e 96-100-kDa, presenti nei "nuclear bodies" [38]. I target antigenici del pattern immunomorfologico MND sono stati identificati nella proteina Sp100 e nella proteina denominata PML, entrambe rappresentate a livello dei “dots” nucleari; l’Sp100 è una proteina con un peso molecolare di 53 kD, che però a livello elettroforetico presenta una migrazione aberrante a 100 kD; l’importanza di tale proteina, della quale, invero, non si sa molto, risiede nella sua azione di stimolazione della attività di trascrizione e nel fatto che la sua prodzione sia accresciuta dall’interferone gamma; la sequenza di Sp100 presenta due regioni con notevole grado di omologia nei confronti di proteine note. Un dominio di 40 aminoacidi, localizzato nella metà aminoterminale, presenta un’omologia superiore al 60% con la regione legante l’antigene delle molecole HLA di classe I. Una sequenza localizzata nella regione carbossiterminale presenta notevole somiglianza con vari fattori che regolano la trascrizione [39]. La PML è una proteina originariamente descritta in pazienti con leucemia acuta promielocitica. Essa co-localizza con l’Sp100 a livello dei “dots” nucleari e risulta abbondantemente prodotta nei tessuti sede di flogosi e neoplasia. Sp100 e PML oltre a possedere una analoga localizzazione a livello nucleare sono state dimostrate essere anche co-immunogeniche, per cui nel 90% dei casi si trovano reattività sia contro l’una che contro l’altra proteina [40]. Non stupisce che le prevalenze fra il pattern immunomorfologico MND e gli anticorpi anti-Sp100 siano differenti, a favore di una maggiore sensibilità dell’anti-Sp100 (34% vs 17%); la spiegazione risiede sia nel fatto che la metodica immunoenzimatica (ELISA) utilizzata per la ricerca dell’anti-Sp100 sfrutti l’utilizzo di una proteina ricombinante come fonte antigenica, sia nel fatto che, come accennato in precedenza il pattern MND possa essere in talune occasioni mascherato dalla coesistenza con altri pattern immunomorfologici. Oltre ad una maggiore sensibilità, l’Sp100 rispetto all’MND presenta anche una specificità di malattia superiore [37] [41]. Rare ed occasionali reattività anti-Sp100 sono state anche riscontrate in pazienti “reumatologici”. Unitamente all’MND, l’altro pattern immunomorfologogico caratteristico della CBP è rappresentato dal cosidetto Rim-like pattern, caratterizzato dalla positività in fluorescenza a livello della membrana nucleare; tale positività può essere poi distinta in “smooth” o “punctate”, in funzione degli antigeni sottostanti tale reattività [42]: come nel caso dell’MND infatti le specificità antigeniche responsabili di tale pattern sono state identificate e caratterizzate; si tratta sostanzialmente di un “cluster” di proteine facenti parte della membrana nucleare interna e del “complesso dei pori nucleari”, la cui azione specifica è rappresentata dal fatto di costituire una sorta di barriera permeabile al passaggio di proteine, di cui media e regola il passaggio dal nucleo al citoplasma e viceversa [43]. La specificità proteica responsabile del pattern Rim-like “smooth” è rappresentata dal recettore per la lamina B (LBR), la cui importanza risiede in una elevatissima specificità per CBP [42], mentre la sensibilità e’ assolutamente modesta (1-4%), mentre del pattern Rim-like “punctate” sono responsabili proteine quali la gp210 e la p62, facenti parte del “complesso dei pori nucleari” [44-50]. In particolar modo negli ultimi anni sono stati approfonditi studi su tali specificità anticorpali, che propongono una sensibilità nell’ordine del 20 % ma una elevata specificità di malattia. Recenti studi hanno anche individuato in tali reattività un possibile marcatore prognostico negativo sulla storia naturale e sull’evoluzione della malattia [51, 52]. Altre reattività e pattern immunomorfologici nucleari associati alla CBP sono stati descritti nel corso degli anni [35, 36, 53]; si tratta comunque di pattern non specifici e la cui presenza può essere spesso giustificata da patologie, di cui sono marcatori, associate alla CBP (è il caso per esempio dell’anticorpo anti-Centromero, marcatore della sindrome CREST, e del pattern speckled che talora può sottendere la presenza di anticorpi anti-antigeni nucleari estraibili (anti-ENA) quali l’SS-A e l’SS-B, marcatori immunologici della sindrome di Sjiogren) [54].

Colangite sclerosante primitiva

La colangite sclerosante primitiva è una patologia epatica cronica ad impronta colestatica ad eziologia ignota, caratterizzata da un quadro di infiammazione, distruzione e fibrosi interessante l’intero albero biliare, sia nella sua componente intraepatica, sia in quella extraepatica [55]. L’aspetto patognomonico valutabile mediante ERCP è rappresentato da un’alternanza di ristringimenti e dilatazioni a carico dell’intero sistema billiare, il cosidetto "beading". L’incidenza e la prevalenza della CSP sono rispettivamente 1.3 x 105 casi/anno e 8.5 x 105 [2]. A differenza di tutte le altre patologie a verosimile origine autoimmunitaria la CSP presenta una prevalenza del sesso maschile rispetto a quello femminile [56]. Sotto il profilo istologico la CSP può essere suddivisa in 4 stadi differenti, che rappresentano uno l’evoluzione dell’altro [57], a cominciare da un quadro di degenerazione dell’epitelio biliare con infiltrato linfocitario a livello dei dotti biliari ed allargamento degli spazi portali (stadio I); tale quadro tende poi a diffondersi con carattere evolutivo, a cui si asociano duttopenia e possible presenza di necrosi periportale e fibrosi (stadio II) fino ad arrivare alla proliferazione di setti fibrosi, scomparsa dei dotti biliare (stadio III) e franca cirrosi (stadio IV). Uno dei limiti della valutazione istologica nella CSP è rappresentata dal campionamento delle sezioni istologiche, per cui spesso ci si trova davanti ad aspetti aspecifici e non diagnostici, mentre la caratteristica lesione a “buccia di cipolla” dei dotti biliari, quella si patognomonica, è difficilmente visualizzabile. In seguito a queste considerazioni il "gold standard" per la CSP è rappresentato dalla colangiopancreatografia retrograda perendoscopica (ERCP), esame invasivo ma efficace nella fine valutazione sia delle vie biliari intraepatiche sia in quello delle vie biliari extraepatiche; a tutt'oggi l'ERCP non è ancora stata sostituita come esame d'elezione dalla Risonanza Magnetica delle vie biliari, anche se l'auspicio, considerata la mancata invasività di quest'ultimo esame, è che ciò possa avvenire in tempi rapidi. L’eziopatogenesi della CSP, così come quelle delle altre patologie a genesi autoimmunitaria è sconosciuta; nel corso degli anni si sono susseguite varie ipotesi su quali potessero essere i fattori deteminanti un danno ricorrente a livello delle vie biliari che potesse poi perpetuare la malattia e determminarne la sua progressione; fenomeni infettivi (sia di origine batterica intestinale sia di natura virale), metaboliti tossici della bile, danni vascolari a carico dei dotti biliari unitamente ad un substrato genetico sono i vari elementi presi in considerazione per formulare le ipotesi patogenetiche alla base di tale patologia, anche se tutt'ora nessuna delle ipotesi prese in considerazione ha fornito risposte concrete. Sotto il profilo clinico la patologia decorre generalmente in modo asintomatico e la diagnosi è spesso incidentale; solo una modesta percentuale di pazienti (10-15%) presenta una sintomatologia coclamata all’esordio della malattia, sintomatologia che puo’ essere polimorfa e variare dalla febbre, all’astenia, all’ittero, al senso di peso all’ipocondrio destro [58]. Come le altre patologie a carattere autoimmunitario la CSP è spesso associata ad altre patologie, e nel caso specifico presenta una stretta associazione con le Malattie Infiammatorie Intestinali, ed in special modo con la Rettocolite Ulcerosa (circa il 75% dei pazienti con CSP presentano anche associata una rettocolite ulcerosa) [59, 60]; proprio dall'associazione con tale patologia sono originate le speculazioni secondo le quali alla base della CSP potesse essereci una infezione batterica di origine intestinale [61, 62]. Altre associazioni significative sono raprresentate da quelle con la tiroidite e con il Diabete Mellito di tipo 1[57]. Sotto il profilo immunologico, la CSP propone un’ampia prevalenza di p-ANCA [63], che come visto in precedenza sono anche caratteristici della EAI di tipo 1, per cui non possono rappresentare un substrato diagnostico specifico di malattia. Chiaramente non esiste una terapia eziologica per la CSP, l’acido ursodesossicolico al dosaggio di 13/15 mg/kg/die ha mostrato miglioramenti del quadro biochimico di colestasi, soprattutto nei primi mesi di terapia, senza tuttavia grossi benefici sul lungo termine [64], sono tutt’ora in fase di promettente sperimentazione trials clinici con acido ursodesossicolico a dosaggi maggiori (25-30mg/kg/die). Inefficaci si sono rivelati invece i farmaci immunosoppressori testati e valutati quali i corticosteroidi, la penicillamina e il methotrexate [56]. Al momento il trapianto ortotopico d’organo rappresenta l’unico valido approccio terapeutico nei pazienti con quadro di insufficienza epatica [56].

Scopo del lavoro

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare quale fosse la prevalenza di sindromi da overlap nella nostra casistica di CBP e di CSP, di confrontare i nostri dati con quanto emerge dalla letteratura e di verificare l'eventuale impatto epidemiologico che tale quadro potesse esprimere nell'ambito delle patologie epatiche a carattere autoimmunitario, soprattutto in funzione dei differenti approcci terapeutici che le singole patologie presuppongono.

Pazienti e Metodi

Selezione dei Pazienti

Abbiamo studiato 173 pazienti con colestasi cronica; di questi 173 pazienti in 157 venivano soddisfatti i criteri clinici, biochimici ed immunologici di CBP; in 122 su 157 (78%) presentavano in Immuno Blot una positività per l'AMA, per la diagnosi posta è stata di CBP AMA positiva; in 35 su 157 (22%) la ricerca di AMA è risultata negativa, per cui è stata posta la diagnosi di CBP AMA negativa. Tutti e 35 i pazienti con CBP AMA negativa sono stati sottoposti a ERCP al fine di escludere il quadro tipico “a corona di rosario”, caratteristico di Colangite Sclerosante Primitiva. In 16 pazienti la colestasi cronica era invece riconducibile alla CSP, dove il sospetto clinico ha trovato la sua conferma diagnostica nell'esecuzione di una ERCP. Nella nostra casistica, come atteso, il sesso femminile era largamente predominante nella CBP (143 donne/14 uomini), mentre il sesso maschile era maggiormente rappresentato nella CSP (4 donne/12 uomini). Tutte le possibili cause di ostruzione biliare extraepatica sono state escluse mediante ecotomografia addominale. Le infezioni da virus B e C dell’epatite sono state ricercate ed escluse mediante le appropriate tecniche di indagine, così come sono stati escluse sotto il profilo eziologico tutte le cause di epatopatia metabolica (malattia di Wilson, deficit di alpha-1-antitripsina) e mediante una attenta e circostanziata raccolta anamnestica le cause di natura tossica e farmacologica. Tutti i campioni di siero sono stati consevati a –20° fino al momento del loro utilizzo.

Immunofluorescenza Indiretta

Tutti i sieri sono stati testati, ad una diluizione di 1:40 in tampone salino fosfato (PBS), su vetri contenenti sezioni congelate di fegato, rene e stomaco di ratto. Dopo un’incubazione in “camera umida” di 20 minuti e successivi tre lavaggi in PBS di cinque minuti ciascuno, i vetri sono stati incubati, sempre in “camera umida”, e sempre per 20 minuti con antisiero, cioè con immunoglobuline anti-umane coniugate con fluorescina, diluite 1:100 in PBS. Dopo ulteriori lavaggi in PBS, i vetri sono stati “montati” tramite una soluzione di glicerolo e PBS in un rapporto di 1:1 ed i pattern delle reattività presenti sono stati valutati mediante microscopio ottico a fluorescenza (Orthoplan, Leitz, Wetzlar, Germany). Tutti i sieri sono stati successivamente valutati, utilizzando la stessa metodica, su vetri commerciali contenenti la linea cellulare HEp-2 alla diluizione del siero di 1:100. I granulociti neutrofili da utilizzare come substrato per la ricerca dei p-ANCA sono stati purificati come segue a partire da sangue venoso periferico di donatore sano di gruppo sanguigno 0. Dopo sedimentazione del sangue eparinato e addizionato con 10 % di destrosio a 37 ºC per 1 ora, il buffy coat ottenuto e’ stato sottoposto a centrifugazione su gradiente di Ficoll-Hypaque per separare le cellule mononucleate. Il pellet, contenente globuli rossi e granulociti e stato poi recuperato e sottoposto a lisi ipotonica dei globuli rossi. Dopo aver riportato la soluzione in condizioni di isotonicità, la sospensione è stata centrifugata a 200 g per 10 minuti. Dopo ulteriori due lavaggi in soluzione fisiologica, i granulociti neutrofili così ottenuti sono stati portati alla concentrazione di circa 1x106/ml e centrifugati su vetrini mediante Cytospin Shadon a 600 rpm per 3 minuti. I vetrini sono stati poi fissati in alcool assoluto per 10 minuti a temperatura ambiente e conservati a –20 ºC fino al loro utilizzo.

Immunoblot

Tutti i sieri sono stati testati in immunoblot per la ricerca delle reattività anti-mitocondriali utilizzando mitocondri di cuore bovino come fonte antigenica. In breve, le proteine mitocondriali (ad una concentrazione iniziale di 1 mg/ml) sono state separate mediante una corsa elettroforetica su un gel al 10 % di poliacrilamide sodio-dodecil solfato (SDS) e successivamente transblottate su filtri di nitrocellulosa. Dopo un incubazione di tali filtri per un’ora con PBS contenente latte in polvere al 3 % (soluzione di blocco), tali filtri sono stati tagliati in strisce, ciascuna delle quali è stata successivamente incubata con il siero da testare per 90 minuti ad una diluizione di 1:100 nella soluzione di blocco. Dopo 3 lavaggi di 5 minuti ciascuno con PBS contenente Tween allo 0,1 %, le strisce sono state incubate per 60 minuti con il siero secondario, costituito da IgG anti-umane coniugate con perossidasi, alla diluizione di 1:500. Dopo ulteriori lavaggi la reazione colorimetrica è stata sviluppata in una soluzione contenente H2O2 e cloro naftolo per 10 minuti.

Valutazione score clinico dell’IAIHG

Tutti 173 i pazienti sono stati valutati secondo le direttive dell' IAIHG (tabella 1) mediante l'applicazione dello score numerico che permette di escludere la diagnosi di EAI, di renderla "probabile" qualora il range raggiunto fosse fra 10 e 15 prima della terapia o 12 e17 dopo la terapia, o di renderla "definita" se fosse superato lo score di 15 nel pre-terapia e 17 nel post-terapia.

Risultati

Immunofluorescenza Indiretta

Fra i 157 pazienti con CBP il tipico pattern antimitocodriale su sezioni di rene fegato e stomaco di ratto era presente in 112, mentre anticorpi antinucleo erano presenti nel 56 % (88/157) utilizzando come substrato le HEp-2 alla diluizione di 1:100; fra i 45 pazienti negativi per AMA, 31 erano ANA positivi. La caratterizzazione delle reattività nucleari ha evidenziato i seguenti pattern: Speckled in 41 casi (26%), MND in 22 (14%), Rim-like/Membranoso in 17 (11%), anti-Centromero in 21 (14%) ed Omogeneo in 5 (3%). I 31 casi ANA positivi AMA negativi evidenziavano i seguenti pattern immunomorfologici in differenti associazioni: MND (9 pazienti, 20 %), Speckled (19 pazienti, 42 %), Rim-like (11 pazienti, 24%), Omogeneo (5 pazienti, 11 %) ed anti-Centromero (4 pazienti, 9%). 17 (11%) pazienti presentavano anche una reattività anti-muscolo liscio (SMA); il pattern SMA era di tipo SMA-V (vasi) in 14 casi, SMA-G (glomerulo) in 1, e SMA-T (tubulare) in 1 [65]. 4/157 (2%) erano positività per p-ANCA. Fra i 16 casi di CSP le reattività antinucleo erano pari al 31% (5/16) rappresertate da 2 casi di pattern Speckeld, 2 Omogeneo e 1 Rim-like/Membranoso. Le reattività anti-SMA erano pari al 27%, in 2 casi il apttern era SMA-T e in 2 casi il pattern era SMA-V. Nel 69% dei casi (11/16) era presente una positività per p-ANCA.

Immunoblot

122 pazienti su 157 (78%) riconoscevano le specifiche bande di positività all’immunoblot utilizzando come antigene mitocondri di cuore bovino. 117 su 122 reagivano con la proteina E2 del complesso della piruvato deidrogenasi localizzato a 74 KD, in differenti associazioni con altre proteine mitocondriali quali la subunità E3 (E3BP), la subunità E2 della 2-ossi-glutarato deidrogenasi (OGDC) a 48 kD, la subunità E2 della catena corta della 2 ossi-acido deidrogenasi (BCOADC) a 52 kD e la subunità E1 della piruvato deidrogenasi a 41 kD; 5 dei 122 sieri reagivano solo con la BCOADC a 52 kD. 10 pazienti negativi per AMA in IFL sono risultati positivi in blot. Sono stati testati in IB per AMA anche tutti i 16 casi di CSP che sono risultati negativi.

Valutazione dello score system proposto dall’IAIHG

Dei 173 pazienti studiati 9 pazienti raggiungevano un valore numerico dello score compatibile almeno con EAI “probabile” e precisamente 3 pazienti con CBP , di cui 2 con CBP AMA negativa, e 6 con CSP (tabella 2). Nessuno dei pazienti con CBP, indipendentemente dalla positivita’ per l’AMA raggiungeva lo stato di EAI “definita”, mentre 2 pazienti su 16 con CSP presentavano un valore numerico dello score compatibile con diagnosi di EAI “definita”.

Discussione

Una prima analisi dei nostri risultati comporta una valutazione di carattere "epidemiologico"; nel complesso nella nostra casisitica costituita da 173 pazienti solo 7 raggiungevano uno score sufficiente per EAI "probabile" e solo 2 (entrambi con CSP) raggiungevano uno score di EAI "definita"; questo primo elemento sta a significare come l'entità numerica del problema sia sicuramente circoscritta, in considerazione anche dei dati epidemiologici delle patologie colestatiche autoimmuni già ricordati a livello introduttivo. L’altro aspetto da sottolineare è rappresentato dalla marcata discrepanza esistente nella frequenza della SO CBP-EAI e SO CSP-EAI; la prevalenza di questa ultima è significativamente maggiore (p2.0 |+3 |

|1.5-2.0 |+2 |

|1.0-1.5 |+1 |

|1:80 |+3 |

|1:80 |+2 |

|1:40 |+1 |

|15 |

|Probable AIH |10-15 |

| | |

|Post-treatment | |

|Definite AIH |>17 |

|Probable AIH |12-17 |

Tabella 2

| |EAI “probabile” |EAI “definite” |

| | | |

|CBP tutte |3/157° |0/157° |

| | | |

|CBP AMA positva |1/122 |0/122 |

| | | |

|CBP AMA negativa |2/35 |0/35 |

| | | |

|CSP |4/16° |2/16° |

Legenda:

° p< 0.01

CBP: Cirrosi Biliare Primitiva

AMA: Anticorpo anti-mitocondrio

CSP: Colangite Sclerosante Primitiva

EAI: Epatite Autoimmune

Riassunto

Col termine di “sindrome da overlap” nella patologia epatica autoimmune viene espresso il concetto di sovrapposizione, che si identifica con la coesistenza a livello di uno stesso paziente della componente epatitica, propria dell’Epatite Autoimmune e della componente colangitica propria della Cirrosi Biliare Primitiva e della Colangite Sclerosante Primitiva. Lo scopo del nostro studio è stato quello di verificare la prevalenza della sindrome da overlap, sia fra Epatite Autoimmune e Cirrosi Biliare Primitiva sia fra Epatite Autoimmune e Colangite Sclerosante Primitiva; abbiamo studiato una casistica di 173 pazienti con colestasi cronica di cui 122 con diagnosi di Cirrosi Biliare Primitiva (tra i quali 35 negativi per l’anticorpo anti-mitocondrio) e 16 con Colangite Sclerosante Primitiva. A tutti i pazienti è stato applicato lo score proposto dall’ International Autoimmune Hepatitis Group per la diagnosi di Epatite Autoimmune, accettato a livello internazionale. Lo score si fonda su valori numerici positivo o negativi (a seconda che agevolino o contrastino la diagnosi) che vengono accordati a paramentri di natura clinica, immunologica, istologica e genetica, ed in base al punteggio raggiunto rende la diagnosi di Epatite Autoimmune “definita”, probabile, ovvero la esclude.

Su 122 pazienti con Cirrosi Biliare Primitiva solo 3 pazienti (2,4%) raggiungevano uno score sufficiente almeno per la diagnosi di Epatite Autoimmune “probabile”, mentre nessuno raggiungeva la diagnosi di Epatite Autoimmune “definita”, Diversi sono invece i risultati per quanto riguarda i 16 pazienti con la Colangite Sclerosante Primitiva; 4 su 16 e 2 su 16 raggiungevano rispettivamente uno score sufficiente per diagnosi di Epatite Autoimmune “probabile” e “definita”.

Se la sindrome da overlap fra Epatite Autoimmune e Cirrosi Biliare Primitiva la possiamo definire occasionale, o comunque rara, lo stesso non si puo’ dire della sindrome da overlap fra Epatite Autoimmune e Colangite Sclerosante Primitiva che propone una elevata prevalenza (37%); la spiegazione di tale discrepanza, discrepanza presente tra l’altro anche in letteratura, oltre che in una maggiore componente epatitica della Colangite Sclerosante Primitiva risiede probablmente anche in una differenza esistente fra le due maggiori patologie colestatiche; se la Cirrosi Biliare Primitiva presenta un marcatore sensibile e specifico di malattia come l’anticorpo anti-mitocondrio, che proprio per questo motive assume una marcata valenza negativa nello score system, lo stesso non può dirsi per la Colangite Sclerosante Primitiva, il cui gold standard continua ad essere rappresentato da una tecnica invasiva quale la colangiografia retrograda perendoscopica, e che non presenta nessuna peculiarità sufficientemente specifica da potere essere inserita nello score; quindi ancorchè la sindrome da overlap Epatite Autoimmune-Colangite Sclerosante Primitiva presenti una prevalenza significativamente maggiore, è plausibile ipotizzare una sua parziale sovrastima proprio alla luce di un deficit di specificità dello score system nel caso particolare.

Anche se “limitate” sotto il profilo epidemiologico, il riconoscimento delle sindromi da overlap è importante ed utile sopratutto alla luce del differente approccio terapeutico che esse presuppongono, per cui alla terapia di base con acido ursodesossicolico nelle patologie colestatiche, è opportune associare, qualora si sovrapponga la componente epatitica, la classica terapia immunosoppressiva con steroidi della Epatite Autoimmune.

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